Frutto del disinganno e dell’abisso che l’epoca ha scavato fra realtà quotidiana e grandezza imperiale, il Don Chisciotte è generalmente riconosciuto come uno dei classici della cultura occidentale. Nata dall’immaginazione di Miguel de Cervantes, mentre era rinchiuso nel carcere di Siviglia, la storia del cavaliere errante impazzito per le troppe letture e del suo fido scudiero Sancho Panza, attraverso le strade della Mancha durante il regno di Filippo III di Spagna, ci induce a percorrere un itinerario al tempo stesso cavalleresco, etico, letterario, sociale, sentimentale; in una miscela dei generi narrativi in voga, Cervantes supera il canone letterario, la norma unitaria, l’esclusione di temi e realtà, per comporre un mondo in cui nulla di umano è estraneo alla sua sensibilità. Sfortunato e grande scrittore, ha lavorato sul linguaggio componendo il primo romanzo moderno e al tempo stesso portando a maturità una lingua che si sarebbe poi diffusa oltremare con la vitalità che ha saputo darle il serrato dialogo che lo strampalato cavaliere e il suo sensato scudiero mantengono lungo una rotta che da un oscuro luogo della Mancha li riporta, dopo aver conosciuto il mondo e la sua insensatezza, proprio al punto di partenza. Ma da questo apparentemente falso movimento, entrambi hanno imparato molto.