Sarà probabilmente una sorpresa per molti scoprire che William Burroughs, lefferato cantore di saghe che si svolgono in terre di mutanti e in cui lumanità è una sopravvivenza arcaica, ha anche scritto uno dei più delicati e percettivi libretti che conosciamo sui gatti anzi, più precisamente, sul gatto come «compagno psichico». Gatti bianchi, gatti arancioni, gatti persiani; gatti amati, gatti di strada; gatti soprannaturali come piccoli dèi del focolare; creature con un che di felino, un che di umano e un che di «ancora inimmaginabile», frutto di unioni arcane e lontanissime che lautore si sente chiamato a rievocare e a proteggere come un benefico Guardiano: sono questi i protagonisti a cui Burroughs dà la parola. La sua voce diventa piana, pur mantenendo una vibrazione inquietante. E laffinità immediata fra lautore e questi esseri appare palese, ancor più di quella con altri suoi personaggi. Le storie, le osservazioni, hanno una naturalezza carica di intensità, forse perché in queste pagine Burroughs ha nascosto «unallegoria», visitando il suo passato come una «sciarada gattesca».